Per me la banda è stata un’esperienza travolgente. Il modo più bello che abbia mai trovato per esprimere quello che penso, nell’unico modo in cui a volte riesco a esprimermi veramente, cioè con la musica e con la presenza, senza bisogno di parole, che non sono il mio forte. E soprattutto condividendo il tutto con altre persone. Sono entrata in banda in un periodo di totale smarrimento e da quel momento la banda è entrata nella mia vita con prepotenza, succhiandomi energie, ma dandomi in cambio la voglia di ricominciare a lottare e la voglia di dire forte la mia. Perché in questo la banda, nei suoi momenti migliori, è imbattibile.
Della mia prima prova in banda non dimenticherò mai che (guarda un po’ la sfiga) c’era assemblea. Sono rimasta esterrefatta dalle dinamiche della discussione. Ho pensato 3 giorni a quello che veramente era stato detto e mi sono fatta le paranoie, della serie: non li capisco, non li capirò mai, sono un altro mondo. Poi col tempo ho capito che la normalità è andarsene da un’assemblea della banda con la certezza di non avere capito niente e soprattutto di avere concluso poco o niente. Il che ha i suoi lati positivi.
Della mia prima uscita non dimenticherò mai l’impaccio di camminare suonando, che poi col flauto si fa pure fatica a guardare dritto davanti a sé! Era lo sciopero generale di metà ottobre 2002 e Silvia mi aveva convinto a farla, sostenendo che i pezzi della banda si imparano solo alle uscite (è vero!). E so di non avere emesso un singolo suono, non conoscendo ancora i pezzi, ma di essere stata travolta dall’effetto trascinante della banda, che vissuto dall’interno è qualcosa di unico. E non dimenticherò mai gli sguardi interrogativi, indagatori e sospettosi dei banditi che mi vedevano per le prime volte … e quella chi è?? Questi sguardi sono durati a lungo, ma piano piano si riesce a rompere la corazza di ghiaccio e di diffidenza di cui, chissà perché, si permea la banda nei confronti dei nuovi arrivati.
Della prima volta che, magicamente, sono riuscita a tirare fuori dal flauto la Napola e poi a ruota tanti altri pezzi, non dimenticherò mai il mio stupore, visto che ho sempre diligentemente evitato di studiare i pezzi della banda. Quando il pericolo dell´assolo si è fatto troppo imminente sono andata a vivere a Berlino, ma è stata solo una coincidenza!
Della prima volta che sono riuscita a sentire il suono del mio flauto mentre suonavo con la banda… no, questa non c’é ancora stata!! Le flaute in banda hanno vita dura dal punto di vista della sonorità !
Di Zavidovici non dimenticherò mai l´incontro, appena scesi dal pullman, tra una signora di Brescia dell´associazione con cui viaggiavamo e una bambina del luogo, che si rivedevano dopo credo un anno e non smettevano più di abbracciarsi, baciarsi, sorridersi; parlavano due lingue diverse, ma tutte le volte che le ho incontrate in quei tre giorni, camminavano per strada tenendosi per mano con orgoglio. E il bottiglione di rakia (o era grappa nostrana? boh) che girava nelle ultime file del pullman già all´andata e che è stato il primo efficace mezzo di comunicazione con i nostri compagni di viaggio. E i cimiteri lungo la strada per andare a casa dei nostri ospiti: tanti, aperti, sul ciglio della strada e soprattutto fitti di lapidi nuove. E la ola del pubblico quando abbiamo attaccato Ederlezi al concerto della prima sera. E i bambini che, mentre provavamo sul piazzale della stazione degli autobus, si sono intrufolati fra noi e col naso all´insຠci osservavano ad occhi sgranati, finché non me ne sono accorta e il mio sguardo nel loro li ha fatti sgusciare via di nuovo, con un sorriso trattenuto a stento e un guizzo negli occhi che tradiva la loro sfacciataggine e al tempo stesso timidezza, la loro curiosità¡ e la loro dolcezza.
Di Sarajevo non dimenticherà³ mai i buchi dei proiettili nei palazzi. E il contrasto tra la bellezza del centro storico ricostruito e la desolazione del resto della città! E nemmeno l’agonia della bambina che tra una stecca e un fischio suonava per noi quel clarinetto che la banda le aveva regalato: la stessa dei miei innumerevoli saggi di pianoforte, che mi perseguitano ancora oggi nei miei incubi notturni e diurni. Mi sentivo male per lei!
Della banda che suona in manifestazione non dimenticherà mai l’entusiasmo delle persone che ci circondano (certo, non sempre). Come quella volta che abbiamo iniziato suonando Jelem Jelem dietro a un gruppo di rom. O come quella volta che abbiamo suonato l´Internazionale a Genova, rompendo il minuto di silenzio in memoria di Carlo Giuliani in una piazza gremita di gente.
Delle „uscite“ nel carcere di San Vittore non dimenticherà³ mai la sensazione di coinvolgimento totale e quasi di smarrimento, provocata dal nostro suono che rimbombava nello spazio immenso del salone centrale. E le mani e le braccia senza visi che si allungavano verso di noi dall´interno delle celle chiuse e le persone che nel corridoio ballavano e in quel momento mi sembravano libere nel vero senso della parola, anche se per il tempo di qualche ballo.
Delle uscite in trasferta non dimenticherà³ mai i treni speciali, le macchinate, il caos alla partenza, l’immancabile disorganizzazione, i ritardi, gli scazzi, le discussioni, le suonate nei posti più impensati a tutte le ore del giorno e della notte, la stanchezza, i neuroni superstiti, i tormentoni, le innumerevoli bottiglie di vino, le brevi dormite spiaccicati uno sull’altro. Di tante altre giornate intense, invece, l’impossibilità¡ di separarsi, la necessità¡ di continuare a stare insieme anche dopo avere suonato: come se avessimo ancora voglia e bisogno di dire qualcosa; come se non riuscissimo a trovare modo migliore per esprimere quello che non riuscivamo più a dire né a suonare. E via con pranzi, cene, aperitivi, pomeriggi al cazzeggio e nottate di chiacchiere. E dopo, la sensazione di legame indissolubile con i banditi e la forza che questo porta con sé.
Della banda a Berlino non mi dimenticherà³ mai.
Per tutto quello che invece non mi ricordo più, dopo lungo rimuginare credo di poter dare la colpa all’ennesimo bicchiere di vino di ogni sacrosanta uscita. Ma rimangono le sensazioni: la passione, l’impegno, la voglia di esserci perché ci credi, la voglia di esserci anche se non ci credi del tutto ma lo fai con gli altri o comunque la banda ha deciso così; la voglia di comunicare quello in cui credi, la convinzione di riuscire a comunicarlo; i salti mortali per riuscire a conciliare la vita quotidiana e la banda … la banda é irrimediabilmente entrata a far parte della mia vita quotidiana per più di due anni e ora che la vivo solo qualche volta all’anno so che fa comunque irrimediabilmente parte di me.
E questo mi piace molto!
(Chiara)