Oggi, come a ogni cambio ora, saremmo andati a Piadena.
Potremmo farci una gita virtuale, anzi no (che virtuale ci fa ca-ga-re), una gita letteraria musicale spirituale tratta dal libro “Ma in fondo delle note chissenefrega”, vita, romanzo e miracoli della Banda degli Ottoni a scoppio”.
Piazzale Corvetto, Piazzale Lotto
che anche gli antibioticopunk si danno appuntamenti
Dalle belle città date al nemico / fuggimmo un dì su per l’aride montagne / cercando libertà tra rupe e rupe / contro la schiavitù del suol tradito.
Dalle belle città (Siamo i ribelli della montagna), 1944, Emilio Casalini e Angelo Rossi
Lasciammo case scuole e officine / mutammo in caserme le vecchie cascine / armammo le mani di bombe e mitraglia / temprammo i muscoli e i cuori in battaglia.
Siamo i ribelli della montagna / viviam di stenti e di patimenti ma quella fede che ci accompagna / sarà la legge dell’avvenir.
Alla banda piace darsi appuntamenti per partire. L’appuntamento, a livello teorico, sarebbe una bella cosa: ci si organizza, si risparmiano macchine, si va. Nella pratica, un incubo. A seconda dei punti cardinali delle uscite c’è un ritrovo preferito, consuetudinario, indiscutibile, sala d’attesa apposita. In direzione sud, l’appuntamento è in Corvetto; verso nord in P.le Lotto; est metrò Zara; ovest Famagosta. Ora, chi conosce Milano non ha bisogno di spiegazioni, questi posti fanno schifo. Il peggiore Corvetto: l’appuntamento è nel posteggio del benzinaio, sotto la sopraelevata, sempre un freddo porco, solo un bar del cazzo, lontano e con le brioches che fanno schifo. Dopo anni si impara che le brioches si possono comprare alla pasticceria dietro che però non ha caffè, quindi se la porti al bar sei apposto ma ti guardano storto. Famagosta e Zara, anonimi e tristissimi. Giusto Piazzale lotto si salva, ha un comodo posteggio e un piacevole baracchino al lido dove puoi aspettare seduto senza impazzire dal nervoso; c’è più sole e fa meno freddo che in Corvetto.
Il secondo enorme problema è che gli appuntamenti in genere non sono a un ora precisa, ma fascia oraria. Anni di appuntamenti, si è trovata una formula, con simil megafono anni settanta tipo: kompagni! Appuntamento a corvetto alle 8.30 p u n t u a l i , si aspetta fino alle 9, 9,15 in macchina, 9,30 si parte. Chi c’è c’è. Sfido chiunque che per anni non sia stato d’accordo. Per i non banditi cercherò di tradurre il rigoroso percorso che lo giustifica: appuntamentoalle830p u n t u a l isiaspettafinoallenove, che con meno di mezzora di ritardo si è considerati puntuali. All’orario stabilito, diciamo 8.30, non arrivano più di uno, due, sempre gli stessi, che gli altri considerano marziani o svizzeri, che poi è un po’ la stessa cosa. Alle9,15sisaleinmacchinaealle9,30siparte ha pure una sua logica, che per mezzora si è sempre disponibili, ma dopo sale il nervosismo e si incomincia coi dai cazzo andiamo, si parte. Solo che mentre tu cerchi un equipaggio ti accorgi che il gruppo dei primi arrivati si è sfaldato verso il caffè, il grappino, le sigarette, il giornale. E quando te ne accorgi girano i coglioni a te, ma solo perché non ci hai pensato prima e quindi vai anche tu a farti un bel caffè proprio mentre gli altri ritornano e salgono in macchina e si incazzano a loro volta. Questo continuo via vai dura in genere molto più del quarto d’ora, nelle combinazioni peggiori può durare anche un’ora. Chi c’è c’è la frase fatidica, la meno attendibile, la più inutile tra le tante. In teoria dovrebbe servire da terribile minaccia per i cronici, che sappiano che questa volta se arriveranno dopo le 9.30 verranno lasciati a terra. Minaccia applicata un paio di volte, eccezioni infinite. Innanzitutto c’è un problema di organico perché alle 9.30, ovvero dopo un ora, mancano un casino di persone, almeno sette o otto. O decidi di suonare in quattro gatti o aspetti un’altra ora buona. Ti accorgi che sei fottuto, bisogna aspettare quei cornuti che calcolano di arrivare qualche minuto prima dell’ora del chi c’è c’è e partire al volo. Quindi, dall’avvento dei cellulari, all’orario del chi c’è c’è incominciano centinaia di telefonate ci sono, arrivo, cazzo dai non mi sono svegliato, aspettatemi dai, arrivo cinque minuti, e magari abitano a mille miglia e sono a piedi. Arrivano le telefonate di chi decide all’ultimo di venire e non ricorda a che ora è ah cazzo alle 8.30? Ricordavo le 10,30, qualcuno aveva detto le 10.30 vabbè, dai arrivo, datemi un quarto d’ora, arrivo. Arrivati questi ultimi bolliti sono passate due ore. Finalmente è l’ora delle due star, i veri professionisti del ritardo, quelli che al momento del chic’èc’è non sono presenti mai. Per loro l’appuntamento è un punto di riferimento spaziale, non temporale, sanno che devono arrivare a Corvetto, l’orario è indifferente. Io mi sono convinto che abbiano mentalmente una spartizione della giornata non in 24ore bensì, per semplicità , in due fasce: presto indica puoi arrivare fino alle tre del pomeriggio e tardi è sufficiente arrivare entro mezzanotte. Il record assoluto stabilito, dovevamo andare a Certaldo; gruppi partivano quotidianamente: Lei aveva appuntamento con quelli del mercoledì mattina: riuscì a partire il venerdì alle 14 arrivando in ritardo ovviamente anche lì. Se facessimo il conto delle ore perse agli appuntamenti verrebbe un conto incredibile, una stima dice come se una, uno abbia dovuto aspettare per un anno di fila, fermi in quel posto di merda di piazzale Corvetto.
Alle 9.30 in Corvetto il primo giorno dell’ora legale è dura ogni anno. Quest’anno c’era anche la notte bianca preelettorale. Ieri ci siamo trovati e s’è chiacchierato di musica fino alle tre, che poi per magia sull’ora elettrica, il sistema di orologi cittadino, orgoglio della laboriosità milanese, metronomo delle notti a zonzo, sono diventate le quattro in un battibaleno. Le due uniche puntuali hanno potuto assistere all’efficacia organizzativa del Coro di Micene; loro alle 9,30 partivano davvero da Corvetto. Noi si parte alle 10,30 e morbidi e rilassati li raggiungiamo in piazza a Piadena, tra Cremona e Mantova. C’è il coro, anzi sono due perché c’è pure un coro francese e la banda di Castel Ponzone, come ogni anno. Abbracci e saluti. La giornata è la prima di primavera come temperatura e come luce e questo già rallegra. Si suona in paesi e frazioni intorno a Piadena; certi anni c’è un torpedone, altri un corteo di macchine. Si finisce con un aperitivo trionfale, salumi, formaggi, ciccioli, vino a volontà . Ormai con la banda di Castel Ponzone dopo i primi anni che ci guardavano con sospetto c’è familiarità , capiscono che li rispettiamo profondamente anche se siamo irriverenti, ogni volta qualcuno scimmiotta la camminata ritmica a passettini ma credo capiscano il nostro modo banda; l’anno scorso il trombettista suonò con noi tutti gli assoli latini , giacché suona anche in un gruppo da ballo di salsa. Anche col clarinettista sono in confidenza, è il vicino di casa di un mio amico liutaio! Il bombardino coi capelli bianchi quest’anno mi ha commosso dicendomi, emozionato in questa giornata meravigliosa, che ci metteva tutto il cuore in quel pezzo che quando lo suonava lo sentiva proprio dentro, ma che proprio è una cosa.
Si arriva a Pontirolo dal Micio; di solito entrano prima loro e poi noi, si fa l’entrata trionfale la gente è già tutta seduta ai tavoli nell’aia. Qualche pezzo noi, Ivan Della Mea che canta con noi la sua Cara moglie, qualche pezzo loro, l’Internazionale insieme, poi cori cantanti, gruppi, i belli Suonatori Terra Terre che organizzarono a Campicozzoli l’indimenticabile inSeminario, incontro di bande che diede vita ai Fiati Sprecati, la nostra sorella banda di Firenze. Pentoloni di risotto alla salsiccia, insalata, carne, salamelle, vino, la banda ne prosciuga di bottiglioni, ma ce n’è sempre di nuovi che arrivano e intanto va la musica e ci si incontra, ci si sposta nel pioppeto adiacente, si può suonare senza disturbare troppo gli spettacoli nell’aia. Intanto in cucina lavorano e sono contenti di farlo, non manca niente: i dolci, il caffè, passa un cestino chi vuole contribuisce. È la lega di cultura di Piadena e la sua festa. E secondo il motto di Gianni Bosio, tra i fondatori dell’Istituto Ernesto De Martino, in una società socialista tutti gli uomini devono diventare uomini di cultura, senza perdere la qualità di uomini . Abbiamo di nuovo le gambe sotto al tavolo, al tavolo con noi c’è il Micio, l’incredibile organizzatore, calmo, saggio, umile. Il subcomandanteigor dice che suo padre quando ha saputo che andava a Piadena ha detto che da lì veniva il bisnonno. Risulta che abitava la casa dietro lì e il Micio lo aveva conosciuto bene, e vanno avanti a parlare in dialetto della genialità di tale invenzione e della bravura di tale artigiano, dei molti caduti di cirrosi. Torniamo, con noi c’è anche Isabella Ciarchi moglie di Paolo. Lungo il viaggio ci racconta della lega di Piadena, nata a metà anni sessanta, dell’Istituto Ernesto de Martino, di Giovanna Marini, Ivan Della Mea, Paolo Ciarchi, Dario Fo, dello spettacolo Bella Ciao con la versione partigiana e quella delle mondine che fece diventare questa canzone famosa ma famosa nel mondo, ed è così che da banda nata un po’ punk, si scopre essere un pezzo di cultura popolare di lotta e di trovarsi intrecciata e connessi con altri modi di esserlo, altre generazioni di fieri ribelli all’appiattimento e alla sottomissione e alla noia di regime.
Stavo ancora in Mugello, la banda venne a trovarmi e s’andò insieme a Sesto, c’erano anche molti amici Mugellani coi figli. Per il centenario dei Moti del pane si suonò all’Istituto de Martino, una villa rinascimentale che il Comune di Sesto aveva dato per salvare l’archivio dell’Istituto di etnomusicologia che Milano aveva sfrattato. C ‘era un mercatino delle pulci dove macs comprò un 45ggiri di Abatantuono, Eccezzziunale veramente. La sera a casa si sentiva quello e la cassetta di Leone di Lernia Aggio crescu quatre figli. Il livello etilico medio era alto, di alcuni troppo, ma troppo. Non potevamo fare niente, ma ci si sentiva fratelli nel profondo, si soffriva e si stava bene. Uno dimenticò a casa mia quel disco, ma il disco si è perso, non è mai stato ritrovato; forse s’è sognato?
Ogni volta che ci torno penso:
Piadena, o:
la vita come dovrebbe essere
Sì, ma poi se, vero, un giorno, elimineranno l’ora legale, dovremo ricucire tutto da capo.